Napoli è un urlo squarcia timpani che sale fino al ciclo. Nel pieno dei clamori di una festa straripante, di una lunga, interminabile emozione che sta stringendo a pugno il cuore della città, vale forse la pena guardarsi un attimo indietro. Già: è questo il campionato dello "sgarbo" estivo dì Diego, delle polemiche acide sulla condiscendenza di una società schiava del suo "divette" capriccioso. È questo l'anno dello "scandalo" col Wettingen in Coppa Uefa: il giallo dello schiaffo al Pibe, escluso di squadra all'indomani dell'ennesimo intrigo di misteri e disagi attorno al rapporto tra il calciatore più grande del mondo e la sua squadra di club. Ed è infine la stagione del crollo col Werder Brema (benedetta eliminazione dagli scenari europei, si può commentare ora, a bocce atletiche finalmente ferme!), dei fischi al Napoli "brutto e impossibile" che non riusciva a ricamare trame spettacolari oltre il nudo ordito dei risultati. Nei novanta minuti con la Lazio niente più che un lentissimo conto alla rovescia sono rimbalzati gli echi di questo immenso calderone di sapori forti, spesso in chiave negativa, che adesso tutti preferiscono annegare nei fiumi in piena della festa. Eppure non è il caso, visto che proprio dalla difficile e sofferta gestione (o non gestione, fate voi) delle vicende più complicate di questa stagione è nato lo scudetto-bis, l'impossibile diventato realtà.
11 divo argentino capriccioso e insolente, il "mostro" sbattuto un po' da tutti (non da noi) ad agosto in prima pagina, è tornato d'incanto il Divino, la magica bussola capace di indicare i traguardi più arditi. Una volta di più, lo scudetto a Napoli si lega ai riccioli di Maradona, alla sua straordinaria vena di fuoriclasse in grado di frantumare ogni ostacolo. Gli ultimi novanta minuti del torneo Diego li ha emblema ticamente infilati uno a uno nella cruna preziosa del suo sinistro: finezze tecniche prelibate, assist conditi della maliziosa e sublime classe dei grandi, una traversa scheggiata su punizione e un paio di prodezze di Fiori come fondatissimo alibi per il mancato appuntamento finale col gol. Un Mara-dona strepitoso, così come la sua risorta vena, che aveva accompagnato i più recenti sussulti tecnici del Napoli. «Ho avuto coscienza delle possibilità-scudetto della squadra» ha confidato Bigon in accappatoio, appena riemerso dal bagno dì spumante negli spogliatoi, «la domenica che perdevamo zero a due con la Fiorentina e riuscimmo a vincere tre a due: Diego era tornato». Un riconoscimento onesto, un complimento sentito anche a se stesso: sin dal primo giorno impegnato a ricucire quella ferita, a comporre quel rapporto di Diego con la città partenopea che sembrava compromesso. Albertino Bigon fu assunto nel pieno della bagarre argentina del "Pibe" - continuiamo a voltarci indietro, ed è una delle curiose sensazioni di questa festa prorompente, ma non priva di venature malinconiche - : il suo primo pensiero andò proprio alla possibilità di recuperare un uomo e un giocatore che senza giri di parole considerava indispensabile agli equilibri e alle fortune della squadra. Da questo ripescaggio, condotto anche a costo di ironie e non benevoli apprezzamenti sulla sua "subalternità" a Diego, Bigon ha preso a tracciare la coordinate della squadra, a tessere l'ordito che avrebbe alla fine, contro tutto e tutti, disegnato il secondo tricolore cittadino.
Il cuore di Napoli batte forte, per questo bis. È un raddoppio ricco di almeno un paio di novità rispetto alla prima volta. Intanto, la gioia esplode con una vitalità quasi inconsulta, grazie alla sua imprevedibilità: non solo i critici, evidentemente, ritenevano che per un altro scudetto il Napoli avrebbe dovuto attendere... secoli migliori. La Grande Delusione dell'88 aveva alimentato uno scetticismo di fondo che in qualche modo avviliva anche il tifo più genuino e ottimista. Non a caso l'estate scorsa (ecco un altro dei contraddirteli segni del destino) la curva degli abbonati subì una pesante flessione, segno della contestazione del popolo azzurro a una campagna acquisti eccessivamente "mirata" sulle esigenze tecniche e decisamente poco eclatante. La scarsa spettacolarità della squadra, raramente dedita a geometrie convincenti e quasi sempre in sella al cavallo bizzarro delle invenzioni dei suoi fantastici offensivi, aveva accentuato il senso di disagio del pubblico. Quando un nuovo sorpasso si è profilato all'orizzonte, con il Milan nuovamente scatenato come due anni fa in una folle rincorsa, la sorte è sembrata segnata. Per questo la gioia, oggi, esplode ancora più sentita. Inoltre, proprio la rivalità col Milan aggiunge pepe al piatto già piccante della felicità: curiosamente, è proprio Berlusconi il grande protagonista (evidentemente negativo) degli striscioni giganti che si inseguono da Forcella a Sanità, nei "caveau" che custodiscono il cuore più sincero e più amaramente, disperatamente felice della città. L'orgoglio della vittoria è anche la rivalsa nei confronti dei simboli di quell'efficienza e quella ricchezza che da una certa Napoli sembrano così lontane: "Meglio i nostri problemi che la vostra rabbia" sintetizza un lenzuolo a lettere azzurre a Sanità. E ancora: "Berlusconi 1° a Segrate, 2° a Napoli". Così come le innumerevoli cappelle funerarie per il presidente milanista punteggiano di rosso-nero i "santuari" cittadini del tifo, condendo la vittoria con la spieiata ironia dello sberleffo. L'onta dell'88, finalmente, è lavata. Le bandiere inneggiami al bis, già preparate allora e poi mestamente riposte all'ultimo istante, sono tornate alla luce, mescolandosi coi nuovi stendardi di una felicità orgogliosa di gridarsi in faccia al mondo.
In questo mare mai prima d'ora così azzurro, tuttavia, galleggiano semi sparsi di malinconia. La squadra sul tetto del mondo ha cominciato a sfaldarsi proprio nel momento più bello: De Napoli confida nel pieno della festa di sperare di andarsene, «alla ricerca di nuove esperienze»; Fusi, diviso tra la gioia del titolo e la delusione mondiale provocatagli dalla telefonata concomitante di Vicini (che gli ha comunicato via cavo negli spogliatoi l'esclusione dai ventidue), non vede l'ora di evadere da una dimensione che ultimamente l'ha visto ai margini del gioco; Mauro ha spiegato a chiare lettere che a non giocare si diverte poco e preferirebbe dunque cambiare aria; Corradini, Francini e Giuliani non hanno nascosto che la freddezza della società potrebbe rendere inevitabile il distacco. Chissà: lo scudetto, con annessa prospettiva di Coppa dei Campioni, è un balsamo capace di rimarginare ogni ferita, di lenire ogni disagio. Però appare quanto meno singolare partecipare a una festa senza nascondere la voglia di lasciarla al più presto. Sarebbe un peccato, nel momento in cui Napoli si accinge ad affrontare con spirito decisamente vincente la massima manifestazione continentale. «Credo di essere entrato nella storia» ha sorriso Bigon nella magica sera del trionfo, «ho vinto il cinquanta per cento degli scudetti del Napoli: se vi sembra poco...». No, non è poco affatto: è un'impresa straordinaria, messa a segno contro una concorrenza agguerrita e ostinata. È stato un Napoli forse privo di continuità spettacolare, ma a tratti irresistibile. A immagine e somiglianzà del suo inimitabile Diego, ma anche di tutti gli altri componenti della rosa, capaci tra l'altro, nella fase iniziale orfana di stranieri, di allungare spavaldamente il passo dei risultati, lanciando quella sfida che alla fine si sarebbe rivelata vittoriosa. Lo scudetto 2, quello della "vendetta" sul sorpasso dell'88, è davvero una pagina di storia. E Napoli, legittimamente in delirio, trasferisce i colori e i rumori del giorno fino nel buio della notte, nella speranza di continuare a sfogliarla all'infinito.
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